mercoledì 14 aprile 2010

RIO SOTTO IL FANGO



Articolo pubblicato sul Il Messaggero dell'11 aprile 2010

Per ragioni di spazio è rimasto fuori l'ultimo paragrafo. Lo trascrivo qui sotto nella sua forma originale.

Rio de Janeiro. Pedro Roberto Firmino, per gli amici Beto, 30 anni, guardiano disoccupato (quando non fa il guardiano lavora come autista, ma è disoccupato anche come autista), vive da sempre nel Morro dos Prazeres, favela del centro di Rio de Janeiro tra le più colpite dalle alluvioni di questi giorni. Alle 17.01 di giovedì pomeriggio Beto si sfila dalla testa il cappuccio della felpa grigia, poiché pioviggina fastidiosamente da cinque giorni, ed entra in una delle baracche della comunità trasformata dai pompieri in obitorio temporaneo: suo fratello Agenildo, di 44 anni, è stato appena estratto dal fango e tocca a Beto riconoscerlo. Dopo sedici minuti riconosce anche la cognata, Luciana Moraes: all’appello mancano i due figli della coppia, di nove e undici anni. La ruspa è al lavoro mentre cala il buio sulla favela e in lontananza brillano i riflettori del Maracanã dove sta per scendere in campo il Flamengo contro Universidad de Chile.
«Erano dieci case in quel punto dove ora non c’è più nulla» racconta Ines, parrucchiera disoccupata, che vive con il marito, due figli e due nipoti in una baracca di due stanze proprio di fianco alla zona che si è trasformata in fango. «Abbiamo sentito come un tonfo sulla terra: la casa si è rotta in due, ci ha salvato l’armadio, perché ha sorretto la trave che regge il soffitto». Ines vaga per la favela reggendo in braccio un barboncino nero di nome Jo, era il cane dei vicini, una famiglia di sei persone: tutti morti.
Il bilancio parziale dell’alluvione che ha colpito Rio de Janeiro da martedì scorso è di 215 morti, un numero destinato ad aumentare, mentre i senza tetto sono già quindicimila. Ed è chiaro, ormai, che le piogge di questi giorni hanno scoperchiato in maniera violenta un problema che la politica brasiliana ha tentato per decenni di ignorare, quello di milioni di persone che vivono appese alle montagne nel centro di metropoli ultramoderne come Rio de Janeiro, San Paolo, Salvador, Belo Horizonte e via dicendo. Già nel 1966, sempre a Rio, un’alluvione simile aveva fatto 200 morti. La pioggia ha insomma tolto il velo su una disuguaglianza storica che neppure il governo di Luiz Inacio Lula da Silva ha scalfito, sebbene negli ultimi tre anni il presidente abbia destinato budget miliardari alle comunità più povere per nuovi progetti architettonici, il cosiddetto Pac, Programma di accelerazione economica. Martedì, in città proprio per inaugurare un cantiere dei Pac, Lula ha invitato i favellati ad abbandonare le aree di rischio, imitato giovedì dal sindaco Eduardo Paes, la cui amministrazione aveva annunciato il trasferimento di quindicimila famiglie in nuovi alloggi entro il 2012, ma fino ad ora ne ha sistemate provvisoriamente solo settecentocinquanta.
A Rio, lanciata verso i mondiali del 2014 e le olimpiadi del 2016, il problema è macroscopico, dal momento che la città conta più di settecento favelas con una popolazione che vive teoricamente in “aree di rischio” che supera il milione e mezzo di persone. Una specie di bomba a orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Paes ha annunciato che gran parte del Morro dos Prazeres sarà rasa al suolo e la gente trasferita.
A poche decine di metri dalla ruspa che da lì a poco raccoglierà dal fango il cadavere di suo fratello, Beto non sembra molto convinto della prospettiva di andarsene: «Se ci propongono delle buone idee, possiamo discuterne, ma qui noi ci siamo cresciuti, qui è casa nostra». João Carolino, imbianchino disoccupato, il marito di Ines, non guarda così in là: «Per ora che ci trovino un posto dove mettere la nostra roba, altrimenti una sola notte fuori casa e ci rubano tutto».

ps. i morti nel frattempo sono diventati oltre 240...

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